|
|
| Posto uno dei tanti articoli scritti nel gennaio 2013 dopo l'annuncio delle dimissioni di Roberto Baggio dallo staff federale. Questo l'ho trovato su nadir.net, ma davvero, l'uno vale l'altro. CITAZIONE Le dimissioni di Baggio e quel calcio italiano che non vuole cambiare
Arriva come un fulmine a ciel sereno, ma anche nell’ambiente erano in molti ad aspettarsi una notizia del genere: Roberto Baggio rassegna le dimissioni da presidente del Settore Tecnico della FIGC. Ieri sera l’annuncio in un’intervista al TG1. Dietro alle dimissioni c’è la verità di un movimento calcistico, quello nostrano, che nella sostanza non vuole cambiare.
Il rapporto Baggio-Figc non è mai sbocciato: fin dall’inizio le prime incomprensioni con il Club Italia e il settore giovanile perché Robi pesta i piedi e invade territori altrui. Ma suggerisce lo scouting, la ricerca di talenti nel territorio che tanto sta avendo successo in Germania e in Uruguay non vuol dire screditare o calpestare altre istituzioni, anzi fa parte delle competenze del settore tecnico.
Poi il progetto da 10 milioni di euro proposto al Consiglio Federale, ma bocciato alla prima istanza da Macalli e Tavecchio. Poi le dimissioni con tanto di critica. Non riesce a lavorare, i suoi progetti vanno in fumo ancor prima di essere presentati talvolta, il suo ruolo gli va sempre più stretto e non perche ha voglia di strafare. In Figc hanno accolto la notizia senza scalpore, se l’aspettavano in fondo, rimarcando che Baggio poche volte svolgeva il suo lavoro negli uffici di Coverciano e in effetti non hanno tutti i torti, perché il Divin Codino andava lì soprattutto per fare il corso per allenatori.
Forse perché amava esercitare la professione a contatto con il terreno di gioco e non su una poltrona, dietro a una scrivania. Preferiva formare i nuovi allenatori lontano dagli uffici e con modi fin troppo strani per i professori di alto rango, gli stessi che hanno favorito il declino del movimento azzurro e difficilmente lasceranno a breve le loro poltrone (vero Albertini?). Più che un rapporto di stima e sana convivenza, con la Federcalcio è stata una guerra che ha danneggiato tutti: il progetto dei 10 milioni, che consisteva in un massiccio investimento nei settori tecnico-giovanile a partire dalla base, le scuole calcio – e questo col tempo poteva essere un vantaggio perché si tratta dello stesso metodo adottato dal Barcellona in tempi non sospetti – è stato bocciato perché avrebbe previsto l’inserimento delle squadre Primavera, trasformate in Squadre B, nei campionati di Lega Pro e Macalli avrebbe perso potere trovandosi poche squadre del suo settore e tante affiliate alle Leghe di A e B, un macello insomma.
Poi fu la volta delle nomine ad honorem di tecnici che ha fatto storcere il naso ai piani alti: Marotta, l’ex arbitro Trentalange, il dottor Castellacci, il manager e braccio destro di Robi Petrone. Erano solo dei premi “alla carriera”, ma in Figc Baggio voleva strafare a detta dei più. Inevitabili le dimissioni. Un peccato, perché ancora una volta il calcio italiano ha perso l’occasione di rilancio e innovazione, ma si sa che la vecchia mentalità continua a dominare e questo Robi l’ha capito fin troppo bene.
E pensare che tutto è nato nel 2010 quando era stato chiamato dal presidente Giancarlo Abete, su suggerimento del presidente dell’Aiac Renzo Ulivieri, subito dopo il clamoroso flop dei Mondiali sudafricani. Dopo aver “piazzato” Gianni Rivera al settore giovanile e scolastico e Arrigo Sacchi al Club Italia (entrambi con risultati poco soddisfacenti), ecco la nomina di Baggio alla guida del settore tecnico di Coverciano, ovvero la scuola che deve formare i nuovi maestri del calcio, gli allenatori italiani tanto cercati in Europa e nel resto del Mondo.
La scelta è singolare: Robi è stato un campione, forse il più grande talento azzurro dal dopoguerra ad oggi, e nonostante si fosse ritirato nel 2004, è ancora tanto amato dall’ambiente e dai tifosi. Il ritorno d’immagine avrebbe favorito e non di poco la Federcalcio ancora galvanizzata dal secondo posto ad Euro 2012. Insomma l’uomo giusto al posto giusto, se avesse avuto modo di lavorare.
|
| |